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GIUSEPPE VERDI A RECOARO PER PASSARE LE ACQUE |
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GIUSEPPE VERDI A RECOARO PER PASSARE LE ACQUE di Antonio Bolcato
Era giunto a Recoaro per 'passare le acque' onde guarire dai postumi di una 'febbre gastro-intestinale', contratta a Venezia nel periodo di allestimento, per il teatro La Fenice, dell'Attila, che avrebbe dovuto debuttare intorno al 20 gennaio per il carnevale di quell'anno, ma che solo il 17 marzo 1846 poté andare in scena. All'inizio dell'estate il giovane Verdi (aveva 32 anni), operista già affermato grazie al successo del Nabucco (1842) e al filone patriottico delle sue opere, si recò a Recoaro, ove si trattenne quasi tutto il mese di luglio. Il Maestro nella cittadina termale faceva piacevoli passeggiate ammirando la suggestiva bellezza del paesaggio ("Trovo anch'io bella questa valle" — è l'espressione del suo apprezzamento). Eseguiva con scrupolo la 'passata delle acque' secondo il rituale termale (sorseggiava l'acqua Lelia passeggiando nel piazzale delle Fonti), anche se non ne era entusiasta: "Non capisco cosa mi potranno fare le acque; - affermava — credo che siano una specie di unguento malvino che non fa né bene né male: certo non mi fanno nessunissimo peso, e speriamo l'utile nel futuro" (Lett. 14.7.1846). La cura di Recoaro gli era stata prescritta dal Dr Giacinto Namias, rinomato medico veneziano, che lo aveva trovato affetto da una "febbre gastrica che durò molte settimane e recidivò, lasciando affievolito il corpo e ingorgate le glandole del mesenterio" , una probabile febbre tifoide (N. G., Certificato Medico 22.3.1846). A Venezia Giuseppe Verdi era arrivato nel dicembre 1845 per completare l' Attila e seguirne le prove per la messa in scena. Ma alla vigilia di Natale accusò una indisposizione e il 2 gennaio 1846 cadde ammalato. Cominciò a migliorare solo nella prima decade di febbraio e -come confidava ad un amico - "da pochi giorni soltanto sorto di casa ed ho cominciato a scrivere"(Lett. 11.2.1846). Così l'opera fu portata a termine durante la convalescenza e andò in scena la sera del 17 Marzo 1846. Dopo la prima di Attila Verdi, ancora convalescente, molto debilitato e dimagrito, migliorava con tale lentezza, che era costretto a starsene in riposo assoluto ("sei mesi per lo meno”) osservando le cure mediche prescrittegli dal Dr. Namias. Durante il lungo periodo di riposo, necessario per ristabilirsi e non mettere "a grave rischio la propria salute, e forsanche la propria esistenza", come attestato dal Dr. Gaspare Belcredi di Milano (B. G., Certificato Medico 6.4.1846), doveva eseguire una cura a base di "acqua di Graz" ("in un bicchiere da tavola 34 d'acqua ed 1/1 di latte bollente. Nei primi cinque giorni 2 bicchieri; poi 3 per altri quattro giorni; poi 4 o 5 a piacere") e fare movimento ("Moto e sudare"). Verdi doveva seguire queste cure per tutta la primavera fino a quando, in piena stagione termale, si sarebbe potuto recare "alla fonte di Recoaro per bevervi quelle acque marziali e tentare riprendere le forze perdute" (N. G., Certificato Medico 22.3.1846). A Recoaro Verdi, malinconico e pessimista, già provato dalla vita (nel 1838 e nel 1839 aveva perso i suoi due figli e nel 1840 era prematuramente scomparsa anche la moglie Margherita Barezzi), fu preso da una noia infinita: "Qui si muore di noia; - sono sue parole - nessuna società alla sera e, dopo cena, a letto". Per vincere la noia e allietare le tediose giornate recoaresi, egli avrebbe voluto accanto a sé amiche e amici: "Allora saremmo tutti allegri — scriveva — avremmo formato una piccola società, ed a dispetto di Recoaro ci saremmo divertiti" (Lett. 14.7.1846).
Verso la fine di luglio Verdi tornò a Milano rinfrancato nella salute, come egli stesso affermava :"Io sto perfettamente bene" (Lett. 2.8.1846). Potè così riprendere il suo lavoro con il ritmo tipico degli "anni di galera" (due melodrammi all'anno), componendo contemporaneamente il Macbeth, tratto da Shakespeare (Firenze 14.3.1847), e I Masnadieri di Schiller su versi del Maffei (Londra 22.7.1847). La concezione romantica del teatro che esaltava la vita nella sua più profonda realtà con l'affermazione del mondo interiore portò Verdi ai capolavori della famosa "Trilogia romantica popolare" (Rigoletto del 1851, Il Trovatore e La Traviata del 1853) e ai successivi trionfi con opere di intramontabile bellezza come Aida (1871), Otello (1887) e Falstaff (1893), oltre alla celeberrima Messa da requiem (1874). Superata la malattia sofferta nel 1846, Verdi visse fino a tarda età (87 anni) in buona salute, anche se, ipocondriaco e ansioso qual era, spesso lamentava disturbi di gola e allo stomaco, specie dopo i periodi di maggior lavoro. Egli - come riferito dal suo allievo-segretario Muzio - alternava momenti di depressione ad altri di esaltazione. Inoltre era meteoropatico, come Verdi stesso confidava a un'amica: "la testa non regge a cinque minuti di sole, e un po' di vento od un po' di umidità mi produce dei mal di gola da cacciarmi in letto qualche volta per settimane".
Recoaro, che segnò una tappa importante nella vita di Verdi e nello sviluppo della sua arte, non può lasciar passare sotto silenzio il prossimo bicentenario. Lo si dovrebbe celebrare con una serie di incontri e concerti verdiani. Si potrebbe anche intitolargli il rinnovato Teatro Comunale. Ed è auspicabile che il giudizio critico su Recoaro del giovane Verdi ("Qui si muore di noia!') serva di stimolo alla cittadina termale vicentina per rinnovarsi e sviluppare un'ambiziosa programmazione turistico-culturale. (Pubblicato in “Realtà Vicentina”, n. 8 giugno 2012, pag-22-23) |
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