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VITA PARROCCHIALE - catechesi

Riflessione religiosa settimanale a cura di don Gianluca Padovan DOMENICA  31 Ottobre 2010

Il Vangelo di oggi ci racconta una scena tra le più famose: ci basta sentire il nome, Zaccheo, e già ci viene in mente qualcosa. Tanto più che icone, mosaici, quadri e vignette di ogni genere sono stati diffusi nei secoli per ritrarre l’immagine un po’ ridicola di questo piccolo uomo che si arrampica sull’albero.


E ridicolo doveva esserlo davvero, così tanto che la gente non manca di notarlo e mormorare. Cosa strana, vista la posizione di Zaccheo, che certamente fino ad allora non aveva fatto ridere nessuno.

 


Zaccheo era il capo dei pubblicani di Gerico, una tra le città principali di Israele, qualcosa come Padova, o forse persino Milano, riferendoci ai giorni nostri. E i pubblicani non erano semplici esattori delle tasse. Erano piuttosto una casta organizzata, incaricata di spremere quanto più possibile dalla popolazione per il tornaconto dei romani occupanti. I pubblicani non seguivano regole precise, semplicemente chiedevano tanto a chi non contava niente, mentre erano molto generosi con i potenti da cui potevano aspettarsi dei favori in cambio. E se qualcuno non pagava, bastava mandargli qualche soldataccio romano a sfasciargli la casa, quando andava bene…

I pubblicani erano estorsori, uomini di violenza, e una violenza subdola perché non si sporcavano mai le mani, ma mandavano altri a farlo per loro. Zaccheo era il capo di questa mafia, era il boss. In tutta Gerico non c’era nessuno che non lo conoscesse, e non era una buona fama. Tuttavia, sicuramente nessuno aveva mai osato dire ad alta voce ciò che pensava di lui, sarebbe stato un suicidio perché dei boss, si sa, bisogna aver rispetto.

Ma quando arriva Gesù l’entusiasmo è tanto, che la folla si accalca e nemmeno si accorge che il boss vuole farsi strada. Ma Zaccheo stesso è contagiato da questa euforia, non pensa più a se stesso come al capobanda dei pubblicani, che poteva farsi largo con la forza; è soltanto un uomo curioso, che deve soddisfare in qualche modo l’ansia che sente nel cuore.

Ed è questo che Gesù vede quando alza gli occhi: non il peccatore, l’avido e il violento, ma l’uomo che ha bisogno di vederlo, l’uomo piccolo, ma con ferite grandi e desideri incalzanti, l’uomo che sogna di essere incontrato e trattato da amico, pur sapendo che è impossibile per uno come lui.
E Gesù, sorprendentemente, si comporta proprio da amico. Gesù sa bene con chi ha a che fare, la fama di Zaccheo lo ha raggiunto, e del resto tutti sanno chi è Zaccheo. Ma Gesù lo guarda con occhi diversi, e gli permette di essere diverso da quello che tutti pensano che sia.
E noi, quante volte imprigioniamo gli altri nel nostro giudizio su di loro? E siamo ostinati in questo!

Come quella gente bisbigliona, e anche un po’ impicciona, che non appena il boss ha ceduto un attimo mostrando di essere anche lui un uomo, e quindi vulnerabile, subito comincia a mormorare alle sue spalle, a dire chiaramente che cosa pensa di lui: è un peccatore, è indegno di amicizia!
E Zaccheo, a cui non mancano certamente i contatti per sapere subito cosa si dice in giro, ci stupisce tutti. Poteva irritarsi, poteva vendicarsi, poteva usare il suo potere per mettere tutti a tacere, tanto la legge per lui non valeva. Ma sente su di sé lo sguardo di Cristo, lo sguardo che l’ha visto davvero, che l’ha riconosciuto per quello che è veramente. Zaccheo non può più tradire quello sguardo.

Zaccheo lo ammette: sì, sono un peccatore, ho sbagliato e per quanto possibile voglio rimediare. È una delle conversioni più totali e più belle dell’intera Bibbia, tanto che pure Gesù si entusiasma, e si sente realizzato in questo incontro: lui è venuto per provocare questa conversione, in tutti noi.

Allora, certo, impegniamoci a somigliare a Gesù, a guardare gli altri andando oltre la corazza per scoprire la verità, la bontà e la bellezza che tutti, nessuno escluso, hanno nascosto da qualche parte. Ma cerchiamo anche di somigliare almeno un poco a Zaccheo. Noi siamo peccatori, siamo tutti piccoli boss, o almeno ci proviamo. Ma se ammettiamo di essere piccoli, di avere sbagliato, se accettiamo di essere vulnerabili, sapendo che gli altri non esiteranno a ferirci, allora veramente saremo i piccoli figli di Dio, le pecorelle perdute che è venuto a ritrovare.