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VITA PARROCCHIALE - catechesi

(Commento settimanale al Vangelo della domenica a cura di don Gianluca Padovan)

Il Vangelo di oggi, probabilmente non ha bisogno di molti commenti. La storia raccontata da Gesù è semplice e chiara, ed il suo messaggio è uno solo: il denaro e le altre ricchezze sono un intralcio nel cammino verso Dio.

Ci piacerebbe poter aggiustare un poco il tiro di queste parole, magari dicendo che si riferiscono a ricchezze e povertà spirituali, oppure che si parla della ricchezza del tempo da mettere a disposizione degli altri, e così via. Tutto vero e sacrosanto, certo, ma Luca pochi versetti prima precisa che Gesù dice queste parole ai farisei, che erano molto attaccati al denaro e deridevano le prediche di Gesù sul distacco dalle ricchezze.

Gesù parla proprio di soldi, e solo di quelli, oggi, e ci ricorda che soldi e fede non sono così lontani l’uno dall’altro. Anzi, è impossibile credere nel Padre di Gesù se si amministrano i propri soldi pensando a se stessi.
E questo non significa anzitutto negare l’aiuto a chi lo chiede, nient’affatto. E Lazzaro, infatti, non chiede la carità al ricco. Siede alla sua porta, desidera sfamarsi delle briciole che cadono dalla tavola, ma non chiede nulla. Lazzaro non è un mendicante, non è uno che chiede. È solo un uomo povero che guarda un uomo ricco, e spera qualcosa.

Così Gesù ci rivolge parole dure, perché il nostro peccato non è quello di non rispondere alle richieste altrui, ma è qualcosa di molto più sottile ed impegnativo: noi pecchiamo contro Dio quando non ci accorgiamo dei bisogni di chi abbiamo vicino, e amministriamo le nostre ricchezze pensando che siano roba nostra.

Badate bene, fratelli, a non giudicare troppo in fretta quest’uomo ricco. Le sue ricchezze sono oneste, non è scritto che le abbia rubate o estorte con la violenza. Sono il frutto del suo impegno, sono sue con ogni diritto. Addirittura, Abramo poi spiega che il ricco le ha ricevute in dono, e quindi Dio stesso gli aveva fatto la grazia di tutti quei beni. Erano ricchezze benedette e sacrosante.
Non c’era peccato nel possederle, il peccato è stato nel modo in cui le ha usate.

Guardiamo allora nelle nostre tasche. Nessuno di noi è un ladro, nessuno è un violento o un criminale. Ciò che possediamo ce lo siamo guadagnato con fatica e sudore, con pazienza e sacrificio, e la maggior parte di noi lavora non solo per se stesso, ma per la propria famiglia che ha il dovere di mantenere dignitosamente.

Anche le nostre ricchezze sono benedette, e dobbiamo sempre ringraziare il Padre che ce le dona, specie in questi tempi di crisi economica. Ma attenzione, che non ci accada di ricevere e poi essere sordi come l’uomo ricco e i suoi fratelli, che non hanno ascoltato la Parola di Dio.
Ciò che possediamo non è nostro. Per noi è solo la parte che ci serve a vivere, dignitosamente ma non di più. Il resto ci è dato per condividerlo, per avere l’occasione di fare del bene e stabilire legami di affetto con gli altri.

Gesù ci dice che Dio stesso permette che vi siano differenze anche gravi tra ricchi e poveri, non perché approvi, ma perché così i ricchi possono andare in cerca dei poveri e consolarli, sostenerli, salvarli. Così davvero diventiamo immagine e somiglianza di Dio, combattiamo la nostra buona battaglia e diamo la bella testimonianza della nostra fede davanti al mondo. I nostri soldi possono essere la nostra più grande occasione di santità!
Ricordiamolo, quando programmeremo le vacanze dei prossimi ponti e del Natale.

Santificheremo quelle feste non andando chissà dove, ma piuttosto offrendo cibo, vestiti, medicine e quant’altro a chi ne ha bisogno, sostenendo la caritas, offrendo generosamente per la comunità che ha molti debiti e bisogni, aderendo con entusiasmo alle molte iniziative della parrocchia, della diocesi e anche del mondo civile, che non mancano mai. Persino semplicemente allungando la mano verso quei mendicanti che siedono al margine del corso durante il mercato.

Questa è la via della salvezza, e non è qualcosa in più. Secondo Gesù è qualcosa di necessario, poiché senza carità e sobrietà, nessuno può essere salvato.