LE NOSTRE RICCHEZZE SORGENTE DI BENE PDF Stampa E-mail
VITA PARROCCHIALE - catechesi

Riflessione religiosa settimanale a cura di don Gianluca Padovan a commento del  Vangelo della domenica

19 Settembre 2010

La Parola di oggi, fratelli, è di quelle che rischiano di passare troppo in fretta sopra le nostre teste. In fondo, siamo tutti d’accordo sul fatto che le ricchezze non possono essere tutto nella vita

 

 

Chi mai direbbe di avere il denaro come suo dio, o di avere come unico obiettivo nella vita quello di diventare ricco? No, nessuno direbbe così, anche perché probabilmente nessuno di noi qui si ritiene un uomo ricco, specie di questi tempi. Casomai, questo è un Vangelo per quelli che sono pieni di soldi; per loro, non per noi.

E tuttavia Gesù non dice queste parole agli uomini ricchi di Gerusalemme, né ai sacerdoti del tempio che amministravano beni e denaro in quantità. Gesù frequentava anche queste persone, ma non è a loro che racconta la parabola dell’amministratore infedele. Ne parla invece ai suoi discepoli, a uomini che hanno lasciato tutto per seguirlo, uomini che ormai non hanno più un lavoro e dipendono dalla carità delle donne e degli altri amici di Gesù che li ospitano, sfamano e finanziano.

Addirittura, i Vangeli ci dicono che i discepoli avevano messo tutto in comune in un’unica cassa, e la teneva Giuda che era pure ladro. Erano poveri, i discepoli, vivevano del necessario, si accontentavano perché per loro la cosa importante era seguire Gesù, stare con lui ed ascoltarlo.
Allora perché Gesù parla a loro di come gestire le ricchezze, di come regolarsi perché i beni di questo mondo non siano un ostacolo all’incontro con Dio, ma anzi diventino un’opportunità per essere salvati?

Forse, il problema non è di quante ricchezze possediamo, ma quanto ci attacchiamo a quello che abbiamo per mano, e come lo usiamo. Gli eremiti dicono che a volte una semplice coperta può essere oggetto della più profonda avidità, soprattutto in una notte fredda in cui ci si trova in tanti con solo un lenzuolo da spartirsi.

Guardiamo alla nostra vita, allora, a quello che abbiamo, per poco che sia. Cosa ne facciamo? Come lo amministriamo? Esiste veramente qualcuno tra noi così povero da non poter accantonare nulla per condividerlo con i bisognosi? C’è veramente qualcuno che può dire di non avere altra scelta se non pensare solo a sé stesso?

Pensiamoci, quando dobbiamo comprare il cellulare nuovo, o il computer, o un vestito o un paio di scarpe. Quanto vale una marca? Vale abbastanza da investirci denaro che potrebbe essere dato ai poveri? E le nostre vacanze, dove le abbiamo trascorse?
Sono queste le ricevute da correggere, e da correggere al ribasso, come dice la parabola.

Perché non ci accada di diventare come gli uomini di cui parla Amos, persone che non sapeva staccarsi da ciò che avevano, dalle proprie comodità, dal proprio tenore di vita, e per mantenerlo erano pronti a sacrificare innanzitutto la propria fede e i suoi principi.
Ben diverso è Cristo, colui che mette al primo posto i bisogni degli altri, che è costantemente alla ricerca di un modo per fare del bene a qualcuno! È l’invito di Paolo a Timoteo, perché questo giovane vescovo abbia sempre in mente gli altri, e ad ogni passo si chieda come può contribuire al bene e alla gioia dei suoi fratelli.

Facciamolo anche noi, e le nostre ricchezze diventeranno nelle nostre mani pure una sorgente di bene, di speranza e di sollievo per chi abbiamo accanto e anche per noi. Credete, non c’è gioia più grande che donare qualcosa, e le mani libere sono leggere e diventano un sollievo. Siate fedeli in queste cose, e il Padre vi donerà la ricchezza più grande: la sua salvezza. Ve la darà perché possiate condividerla, accogliendovi gli uni gli altri nella dimora eterna di Dio, e così noi saremo i portinai del cielo, e nessuno resterà chiuso fuori.