Riflessione Religiosa della settimana - SANTI PECCATORI PDF Stampa E-mail
VITA PARROCCHIALE - parrocchia di san clemente

Riflessione religiosa settimanale a cura di don Gianluca Padovan
 
13 GIUGNO - Oggi ricordiamo la festa di sant’Antonio, e vedete esposte ben due immagini che lo raffigurano. Antonio era un santo: un uomo di preghiera e di carità, uno studioso e un predicatore, innamorato di Dio e dedito al servizio degli uomini. Un cristiano perfetto, potremmo dire. 

Ma in che cosa consiste la santità? Essere santo, significa forse non peccare mai? Eppure Antonio stesso sentiva il bisogno di frequenti digiuni, di confessarsi spesso e di chiedere scusa ai fratelli francescani per i peccati che quotidianamente commetteva.

No, la santità non è semplicemente non peccare, la santità è qualcosa di diverso, e la Parola di Dio ce ne da due esempi: Davide e la donna peccatrice.

Due esempi di santità molto strani, a ben guardare. Davide fu certamente un uomo eccezionale, la Bibbia stessa lo definisce “il santo re Davide”, parla di lui come di un grande condottiero, un sovrano illuminato e persino un profeta di Dio, e a Davide sono attribuiti anche molti dei Salmi che leggiamo durante la Messa.

Davide fu uno degli uomini che scrissero la Bibbia, quindi tra i più vicini a conoscere il mistero di Dio. Eppure proprio oggi abbiamo ascoltato la pagina più oscura della sua vita, quando Davide, stanco della moglie, si innamora di un’altra donna, sposata con il soldato Urìa. E Davide non solo la seduce ed ha un figlio da lei, ma fa anche uccidere Urìa.

Davide è certamente il santo re d’Israele, eppure fu un grande peccatore. La sua santità consiste nell’atto di fiducia che compie verso il Signore: Davide non finge di non aver fatto nulla, non cerca scuse e non si giustifica: “Ho peccato contro il Signore”, grida, e piange e chiede perdono a Dio. Davide sa che Dio è un Padre buono, spera in lui e si mette nelle sue mani.

Così la donna del Vangelo. Gesù lo dice chiaramente, lei ha “molti peccati” da farsi perdonare. Non è certamente una innocente, anzi. Ne ha combinate così tante che la gente la segna a dito per strada, e tutti sanno quello che ha fatto. Eppure è santa, santa perché ha amato il Signore e ha creduto che anche lui potesse amarla, nonostante avesse fatto cose per cui ormai nessun uomo voleva avere a che fare con lei.

Ecco, questa è la vera santità: credere che Dio ci ama ed è pronto ad accoglierci, e fare il primo passo verso di lui.
E se ci guardiamo intorno, ai quadri della nostra chiesa che rappresentano tanti santi, ci accorgiamo che nessuno di loro è senza peccati. Davide e Antonio, ma anche Francesco, Domenico, la Maddalena, gli Apostoli e gli Evangelisti, Giuseppe e Maria, tutti hanno peccato, tutti hanno dovuto convertirsi e chiedere perdono a Dio, tutti si sono affidati al suo amore. Per questo sono santi, perché ci mostrano che in ogni circostanza della vita noi possiamo sperare nel Signore. Per questo siamo santi noi, se affidiamo a Dio i nostri peccati; per questo è santa la Chiesa, non perché non pecca, ma perché non smette di credere di poter essere perdonata, e di essere sempre e comunque amata.

È l’invito di Paolo, lasciare che Cristo ci doni la sua grazia senza presumere di poter essere perfetti. Fuggiamo da questo peccato, da questo orgoglio: nessuno è perfetto, nessuno ha sempre e solo ragione, nessuno ha idee migliori degli altri, nessuno può pretendere diritti superiori agli altri o mettersi su un piedistallo. No, nessuno di noi vale più degli altri, e se lo comprendiamo, se ci accorgiamo di essere tutti peccatori, nessuno farà come il fariseo Simone, che si permette di giudicare la donna e persino Gesù, pensando di essere lui solo puro e immacolato.

Se noi comprendiamo di essere come quella donna peccatrice, diventeremo capaci di donarci agli altri, come le donne che chiudono il Vangelo: tutte sono state perdonate e guarite da Gesù, e tutte ora, con umiltà e semplicità, offrono quello che hanno e stanno insieme volendosi bene, perché sanno di avere peccato molto, ma sanno anche di essere amate molto di più.

(Nell'immagine: Ultima Cena, manoscritto armeno del XIV secolo - Museo dei manoscritti Yerevan)