BALILLA E PICCOLE ITALIANE. La scuola, i sogni, la vita. PDF Stampa E-mail
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BALILLA E PICCOLE ITALIANE. La scuola, i sogni, la vita.
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Ecco un agile volumetto che non racconta la Storia, la ascolta, come testimonia il capitolo "Storia di Lina".
Un viaggio attraverso quaderni di aste e di bella calligrafia, la ginnastica del sabato e lezioni di economia domestica.
Ma anche tra le difficoltà affrontate, la forza e la fede per costruirsi il futuro.

 

C’è chi è diventato sindacalista, chi insegnante, chi camionista,  chi suora di clausura.
E chi, come Angelo, nato nel 1906, ha visto oscurarsi il cielo per gli aerei di due guerre e da  bambino giocava a palline, e quelle di vetro valevano doppio.E' un incontro con tanti ora anziani di Valdagno che testimoniano la loro vita, povera di mezzi materiali, ma ricca di lavoro, difficoltà e sentimenti di unanità.

Cristina Bobber è nata a Cismo del Grappa il 9 novembre 1961 e vive a Solagna, lungo le rive del Brenta. E' corrispondente del"Il girnale di Vicenza". Ha già pubblicato primi baci" alla seconda edizione sempre con Attilio Fraccaro Editore e "Amiche e ortiche" edito da Baldini Castoldi Dalai.

STORIA DI LINA NATA NEL 1922

Andavo a scuola all'Istituto Marzotto. Avevo una maestra abbastanza buona, quella di mio marito dava le bacchettate, la mia no. Avevo un'amica, stavamo sempre insieme, facevamo le lezioni a casa mia. Ora è in casa di riposo, ha perso la testa. Giocavamo a chi salta più scalini, sulla rampa, a saltare la corda e a campana. Oppure a cerchietto: bisognava lanciarsi dei cerchietti l’una con l’altra, e riuscire ad infilarli con dei bastoncini.
Dopo le elementari ho fatto l'avviamento, per tre anni. Si diventava tessili e tintori e poi si andava tutti a lavorare in Marzotto, già a dodici, tredici anni.
Ci insegnavano a far le pulizie, come lavare le maglie di lana, come smacchiare; ai maschi invece tessitura e falegnameria.
Lavavamo le posate con l'olio fumante, con le scaglie in pietra.
I pavimenti di legno li strofinavamo in ginocchio con il boschetto, che ha le setole dure e grosse.
Per insegnarci a piegare tovaglie, lenzuola e asciugamani, usavano un quadrato di cartone rigido e vi posavano dei fogli di carta sottilissima piegandoli nella giusta maniera.
La teoria si faceva in classe, poi si metteva in pratica in un appartamento vuoto che faceva parte della scuola. Qui si cucinava, si facevano i letti, si spazzava, si pulivano le porte. Ancora adesso stiro come mi hanno insegnato.
Si imparava a lavorare a maglia e a ricamare; a tutte le tende che ho in casa ho fatto il gigliuccio a mano. Anche le mie figlie le ho mandate a scuola di taglio e cucito, dopo la laurea. Si facevano anche da vestire. Io per i miei figli facevo anche le mutande, con le cappette a punto smerlo.
Studiavamo canto corale, mi ricordo ancora il Nabucco. Mi piaceva tanto la geografia, avrei voluto viaggiare. Da Marzotto organizzavano i viaggi, si trattenevano i soldi dallo stipendio, a piccole rate, e ti  portavano anche in Egitto, in America. Ti accompagnavano loro, bisognava iscriversi all' “Incontro club” e si poteva partecipare. Io non ho potuto per via dei figli, sono stata solo a
Venezia. Era un bell'ambiente di lavoro. Il Conte Gaetano era una persona squisita. Ci ha sempre pagato, anche quando siamo stati due mesi a casa perchè avevano bombardato un'ala della fabbrica. Avevamo i rifugi vicini, suonava la sirena e si correva.
A scuola si marciava, si faceva il saluto romano; ci portavano a un campo sportivo per la ginnastica. Io ero brava a correre, partecipavo alle gare, era un modo per evadere perché mia mamma era molto severa, era del 1880.